Esiste un popolo, quello napoletano, che ha conquistato il mondo con un po’ di acqua e farina. Dal Seicento ad oggi, questa conquista “antropologica” è avvenuta con il piatto più famoso del mondo: la pizza. Ed è così, che senza colpo ferire, i napoletani hanno sublimato un semplice disco di impasto, rendendolo il piatto saporito e completo che ha unito popoli e generazioni. Negli anni, però, la tradizionale pizza a “rota ‘e carretta” si è evoluta e con essa si sono approfonditi gli studi su farine, impasti, lievitazioni, maturazioni e cornicioni, contribuendo al miglioramento della qualità finale.
Negli ultimi anni siamo stati letteralmente invasi da menu dove campeggiava in bella mostra la parola “gourmet”, quasi a voler creare un grosso divario tra la pizza di una volta e quella di alta qualità. Ed accanto a questo nuovo concetto di pizza, è nata l’esigenza di elevare anche gli abbinamenti. Non più piatto da gustare accompagnandolo a birra, chinotto e coca-cola, bensì al vino e delle migliori qualità. Se alcuni puristi hanno sùbito arricciato il naso per l’azzardo, molti hanno accolto con freddezza questa nuova frontiera del gusto, pensando ai problemi pratici legati principalmente al fatto che il costo del “beverage” avrebbe potuto superare di gran lunga quello della pizza. Eppure, scalfite le ritrosie iniziali, oggi è diventato sempre più facile trovare pizzerie gourmet con carte dei vini di qualità e, nei casi più raffinati ed organizzati, dotate anche di macchinari ad azoto liquido per assicurare sempre una mescita di vini al calice perfettamente integri.
L’abbinamento pizza-vino è di certo ardito e non è affatto semplice; troppo delicati alcuni gusti e sapiente deve essere la scelta, in particolar modo sui rossi, per evitare che struttura e tannini coprano completamente il sapore della pizza.
L’importante, però, è avere delle linee guida da seguire per riuscire a scegliere il vino migliore in qualsiasi occasione. Di certo rossi leggeri e di facile beva, vinificati in acciaio, potrebbero risultare più versatili, così come i bianchi più morbidi e sapidi in modo da bilanciare l’acidità del pomodoro. La bollicina ci aiuta sicuramente a sgrassare qualche ingrediente più complesso e si adatta anche a un saporito tris iniziale di crocchè, arancini e frittatine di pasta.
Ma veniamo alla pizza e analizziamo le tre più famose, che potremmo definire “pizze della tradizione”.
Il nome sembra derivare dal basilico (utilizzato in grande quantità su questa pizza) che a Napoli viene chiamato da sempre “vasinicola”, dal greco antico “vazilikon”, che a sua volta si rifà alla parola “vasilias”, cioè Re. È con ogni probabilità la pizza più antica, io la definirei la “proto-pizza”, quella da cui sono nate tutte le altre. Composta da ingredienti semplicissimi come strutto, pepe, basilico e formaggio, ponendosi a cavallo tra il 1500 e il 1600.
Possiamo iniziare questa nostra degustazione con una bollicina che ci aiuterà a sgrassare il palato dallo strutto e, allo stesso tempo, ci donerà un po’ di brio per compensare la tendenza dolce della pizza. In abbinamento un “Dòrè”, Spumante di Caprettone dell’azienda Sorrentino, ottenuto con metodo Charmat lungo (dieci mesi sui lieviti). Siamo proprio alle pendici del Vesuvio, nel territorio di Boscotrecase dove il caprettone si esprime storicamente in tutta la sua pienezza.
A inizio Ottocento inizia a diffondersi l’uso del pomodoro, fino ad allora utilizzato solo a scopo decorativo. E fu così che i marinai che tornavano dalle uscite in barca, cominciarono a gustare una pizza semplicissima, condita con pomodoro, aglio e origano. Ingredienti troppo poveri per immaginare di contrastare questa pizza con vini eccessivamente strutturati. Ecco perché in abbinamento proponiamo una Falanghina dei Campi Flegrei di Contrada Salandra. Un vino territoriale, vulcanico, sapido, reso più morbido dagli anni trascorsi in bottiglia e che, pertanto, bilancerà bene l’acidità del pomodoro.
Nonostante la sua fama, ancora oggi resiste una vulgata legata alla nascita di questa pizza. Essa non fu “creata” in occasione della “degustazione” a Palazzo in onore della Regina Margherita, nel 1889, bensì - come si legge nel Regolamento UE n. 97/2010 del 4 febbraio 2010, redatto dall’Associazione Verace Pizza Napoletana e dell’Associazione Pizzaioli Napoletani - alla regina fu semplicemente “offerta” una pizza preparata con pomodoro e mozzarella già in uso a Napoli da molti decenni. Ce lo conferma il filologo Emmanuele Rocco che, nel curare il capitolo “Il pizzaiolo” del libro “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, coordinato da Francesco de Bourcard e pubblicato nel 1853, scriveva: “Altre [pizze], invece, sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e vi si pone di sopra qualche foglia di basilico […] e delle sottili fette di mozzarella. Talora si fa uso di prosciutto affettato, di pomidoro, di arselle”.
La pizza con pomodoro e mozzarella, pertanto, non nacque per omaggiare la Regina Margherita di Savoia, ma le fu soltanto offerta scegliendo tra quelle che già esistevano.
Per l’abbinamento non solo ci riserveremo un bel rosso, ma andremo di tradizione, con quello che è da sempre conosciuto come il vino dei napoletani: il Gragnano. Storicamente diffusissimo in tutte le trattorie napoletane (e se le pizzerie dell’epoca possedevano qualche bottiglia di vino, sarebbe stato sicuramente questo), nasce dall’incontro di vitigni antichissimi e autoctoni dei Monti Lattari. Negli anni è stato relegato a vino di bassa qualità, complici produttori che non avevano interesse a salvaguardare la storia di questo vino, al punto da farlo diventare quasi una bevanda zuccherina. Oggi, finalmente, sta ritornando ai fasti di un tempo, grazie all’impegno di molti viticoltori accorti e appassionati. Degusteremo la nostra pizza Margherita con il Gragnano “Otto Uve” di Salvatore Martusciello. Il nome è già una garanzia: il Gragnano metteva insieme tutte le uve della zona dei Monti Lattari ed è per questo che si assemblano piedirosso, aglianico, sciascinoso, suppezza, castagnara, olivella, sauca e surbegna. Un omaggio alla storia di un territorio e alla caparbietà di tanti anziani potatori che hanno da sempre condotto vigne su impervi terrazzamenti.
L’abbinamento risulterà adeguato, sia per la presenza minore di pomodoro rispetto alla marinara, sia per l’aggiunta della mozzarella che darà quel tocco di grassezza che la bollicina del Gragnano ci aiuterà a pulire.
Lo scrittore Mario Soldati lo definì come «un vino piccolo, ma insuperabile» ed è a questa storia che dobbiamo guardare, alla capacità di ottenere cose grandi con mezzi semplici, perché con una pizza e un calice di vino, si può ancora avere ben chiaro il concetto di felicità.