Famoso e rinomato già dal ‘600, il Fiano di Avellino è entrato, a pieno titolo, tra i grandi bianchi d’Italia. Riconosciuto come vino DOCG nel 2003, insieme al Greco di Tufo e al più celebre Taurasi. Un terroir vasto ed eterogeneo, con inverni rigidi, estati miti, forti escursioni termiche e argille che si alternano a sabbie, pomici e gesso. Un vino caratterizzato da doti non comuni di acidità e sapidità, con una naturale predisposizione a dare il meglio di sé anche a distanza di molti anni.
Basterebbe già solo analizzare l’etimologia di questo vitigno per capire che ci troviamo di fronte a qualcosa di straordinariamente unico.
Un tempo, la collina ad est di Avellino era chiamata Apia, luogo dove si produceva un vino, già decantato dai poeti latini, che rispondeva al nome di Apiano. Esso, a sua volta, pare derivasse dalle api, così ghiotte degli acini di quest’uva. E da Apiano, col tempo, si arrivò finalmente al Fiano che a Lapio (l’antica Apia) trovò il suo territorio di elezione.
Dell’importanza di questo vino se ne trova traccia già nel 1592 (giusto cent’anni dopo la scoperta del Nuovo Continente da parte di Cristoforo Colombo), allorquando, una nota indirizzata al Capitano di Montefusco richiedeva il pagamento di quattro carlini sulla gabella del vino che transitava in quell’area, già all’epoca così importante per la produzione di questo prezioso nettare.
Basti pensare che nell’Ottocento tutta l’area irpina in generale - e del Fiano in particolare - produceva più di un milione di ettolitri di vino, al punto da meritarsi il titolo di “ferrovia del vino” con la conseguente istituzione della Regia Scuola di Viticoltura ed Enologia. Essa, nel 1882, rese pubblici per la prima volta i risultati di ben quattordici vinificazioni diverse e separate di Fiano.
Il perché di tanta qualità è facilmente individuabile nella ricchissima concentrazione di sostanze nutritive dei terreni irpini e nella loro diversificazione.
Possiamo, infatti, suddividere la produzione del Fiano di Avellino in quattro aree:
Se, invece, volessimo suddividere gli areali di produzione a seconda della diversa composizione dei terreni, potremmo dire che:
Questa ricchezza d'argilla costituisce un fattore molto positivo per la viticoltura; in primis perché contrasta i periodi di siccità estiva e ciò comporta una maturazione più regolare dell'uva con un buon contenuto di acidità fissa. Il clima della zona è influenzato dalla presenza di numerosi boschi che attenuano i picchi di temperatura soprattutto durante l'estate. Ciononostante, gli inverni sono rigidi e nel periodo luglio-settembre si verificano escursioni termiche giornaliere molto accentuate. Basti pensare che nei giorni di calura agostana, buona parte della zona esposta a nord della provincia irpina raggiunge a malapena i trenta gradi, mentre nel resto della regione si superano anche i trentacinque.
La zona di produzione della Denominazione di Origine Controllata copre un’areale di circa 28.000 ettari e prevede l’utilizzo, per almeno l’85%, del vitigno Fiano. Per il restante 15% possono concorrere altri tre vitigni a bacca bianca: Greco, Coda di Volpe e Trebbiano toscano.
Il Fiano di Avellino è dotato di grande personalità ed è caratterizzato da profumi intensi di agrumi, pera, mela ed erbe aromatiche, con tipiche sensazioni acide e minerali. Al palato è fresco, sapido, caldo, persistente ed equilibrato.
Stiamo parlando di un grande vino che proprio per questo si adatta a molti abbinamenti: dai piatti a base di pesce e crostacei alla parmigiana di melanzane, passando per le polpette e il pollo alla cacciatora. Da provare con salumi e formaggi, anche grassi, proprio perché acidità e sapidità contrastano la grassezza e aiutano a pulire il palato.
Bisogna essere solo orgogliosi se la Campania, grazie anche a questo grande bianco, sta ottenendo continui riconoscimenti nel panorama vitivinicolo nazionale ed internazionale. Le specifiche composizioni dei terreni, il clima sicuramente diverso dal resto della regione, le escursioni termiche e le altitudini rendono molti Fiano di Avellino assimilabili ai vini di montagna. Tutte queste peculiarità, unite alle capacità di vignaioli illuminati in grado di renderlo ancora più elegante, hanno creato un simbolo ormai riconosciuto da tutti.
C’è poco da fare: l’Italia del vino parla campano e dice Fiano!